(il gioco dell'oca)

# House MD

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  1. always‚
     
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    Esami
    “Mitch, dannazione. E’ tutto il giorno che ti cerco” Questo è Wilson. L’oncologo, più richiesto del Plainsboro. Non lasciatevi ingannare dalle apparenze, di solito è molto più gentile con me. Oggi però lo avete beccato particolarmente girato. Non guardatemi storto, è House che lo fa innervosire. Ok, lo ammetto, anch’io non scherzo, ma James è come un nostro angelo custode. Non capisco perché mi stia cercando, e stavolta credetemi. “House, è da stamattina che ha bisogno. Hai degli esami da consegnargli?” mi chiese, con velocità paragonabile al moto con cui ci muovevamo. “Sì, mi aveva accennato a degli esami da fare.” risposi cercando di ricordare. Ovviamente facevo finta. Alla fine mi fermai, e lui con me. “Senti Mitch, se li hai pronti, consegnali, se non li hai, falli. E’ da stamattina che mi gira intorno!” caspita, House aveva superato sé stesso. “Wilson, non devi scaricare la tua rabbia repressa verso di me,” Precisai “ma su House, come faccio io. Non hai idea di quanto faccia star bene.” e trasformai il mio viso in una maschera divertita. Lui in tutta risposta sbuffò, e mi mise una mano sulla spalla. “Sì, certo hai ragione.” Ecco così andava meglio. “Scusami, Mitchell. Non so cosa mi sia preso, ma è da ieri notte che House non fa che telefonarmi per degli esami che non sono io a dover fare.” “Per questo tu resisterai finché lui non verrà direttamente da me.” “Come?! Mi vuoi morto?!” sollevai un sopracciglio. “Mi dispiace essere la causa della tua morte, ma sinceramente non ho nemmeno fatto le analisi.” Ripresi a camminare nel corridoio. Ci volle poco perché l’incredulità di James lasciasse sfogo a nuova forza d’iniziativa. Me lo ritrovai di fianco. “No, no così non va …” “Non va, certo!” sbottai. “Ho un sacco di pazienti oggi, con il timore di avere il cuore agli ultimi. Non ho tempo per quegli esami.” E questo era quanto. Almeno finché House, non fosse sopraggiunto ai miei piedi strisciando, e implorando la mia clemenza. Non lo credete possibile? Beh nemmeno io! Per questo avevo la certezza che non mi sarei sovraccaricata di lavoro extra. Entrai in ascensore. Wilson mi guardò con fare interrogativo misto a disperazione. “Non ti sei chiesto, chi sta a capo di questa faccenda?” Sorrisi “Dovresti.” Le porte si chiusero.

    Wilson, restò confuso. Poi sospirò tra sé “La Cuddy.”


    Il gioco dell'oca
    House sbucò dalla porta dell’ufficio proprio mentre Foreman scriveva sulla lavagna. “Ehi!” si avvicinò al collega. “Mia lavagna, mio pennarello.” E tolse immediatamente di mezzo Eric, che andò a sedersi con gli altri due dottori. “Io penso che possa trattarsi di Lupus, i sintomi coincidono.” Cameron era tornata all’attacco. Ora che House era in mezzo a loro, doveva dimostrare quanto valeva. “Ma per favore!” gli rispose il biondo dottorino di fianco a lei. “Non è mai Lupus!” “Questo non ci permette di escluderlo.” Disse diplomatico Foreman. “No, no. Ha ragione Chase. Altrimenti perché nasconderei il Vicodin nel manuale del Lupus?” “Perché … Non è mai Lupus?” disse incerta la dottoressa. “Esatto!” esultò House. Poi aggrottò la fronte. “Non ricordo perché sono entrato qua dentro.” I tre si guardarono inebetiti. “Ah! Ora ricordo! C’è Mitchell qui?” si guardò intorno. Il suo Team fece altrettanto con fare interrogativo. “Evidentemente, no.” Si rispose da solo il dottore. “Va bene, continuate pure.” E così dicendo, con il suo fedelissimo bastone uscì dal’ufficio. “Ma perché ha sempre bisogno di lei?” chiese impaziente Cameron. “Secondo me, vanno a letto insieme.” Constatò Foreman. “Oh andiamo! Si conoscono da quanto? Dal college. Sono solo vecchi amici.” Volle giustificare Chase. “Ehi, ragazzi” cercò attenzione Cameron. “Io sono qui.” “Già, ma sai perfettamente come la penso su te e House.” Iniziò Foreman. “E’ a dir poco insano.” Continuò Chase. “Esatto.” Confermò l’altro. A Cameron non restò che continuare la diagnosi.

    Uscii dall’ascensore. Avevo lo sguardo fisso sulle cartelle dei miei numerosi pazienti. Entrai nel mio ufficio senza nemmeno accorgermene. “Ecco la pecorina che torna all’ovile. E che pecorina.” Voce maliziosa, sguardo affascinante, pronto a scrutare qualsiasi anomalia. “Comodo il mio divano House?” gli domandai. “Oh Certo. Sto fantasticando su come utilizzarlo diversamente. Sembra divertente, entrambi sudati …” Lo guardai con occhi complici. Sapeva che non avrei resistito. Ma non sapeva quello che provavo realmente … “Non ho gli esami, se è questo che vuoi sapere.” Lui mi squadrò accigliato. Gli avevo rovinato la sua strepitosa fantasia erotica, era il minimo. “Stiamo giocando al gioco dell’oca.” Mi girai verso di lui, con un sopracciglio alzato. “Che intendi?” sperai che non si riferisse ancora all’uso inappropriato del mio divano. “Io stavo cercando te per gli esami, e la Cuddy cerca me per lo stesso motivo. Divertente non trovi?” La sua voce risuonava come quella di un bambino. Sospirai. Mi aspettava un’altra giornata nullafacente. Sorrisi tra me, e mi rivoltai verso di lui. “Quindi ora, io e te, dobbiamo sfuggire alla strega cattiva?” domanda retorica. Sapevo perfettamente che risposta dovevo aspettarmi. “La tua intelligenza, mi affascina. Spero ardentemente che la Cuddy, non trovi mai un motivo valido per licenziarti.” “Sì, sai che noia altrimenti.” Mi sorrise. Poi uscimmo furtivamente.

    Ero dietro le spalle meravigliosamente possenti di House e non seppi in che porta entrammo. Lessi solo quando fummo dentro dove ci trovavamo. Con tanto di bastone, continuò imperterrito la camminata lungo l’ufficio e mi spinse dentro un armadio. Era angusto piccolo e stretto per tutti e due. Eppure lui, vi entrò ugualmente. Wilson alzò la testa dalla sua scrivania. Sollevò gli occhi. House e Mitch? Pensò. “A cosa devo il piacere della vostra visita?” Io tra un po’ soffocavo, e House mi pestava un piede. “Stai parlando con un armadio chiuso. Sta zitto!” sbottò House da dentro l’armadio. Wilson scosse la testa. Non poteva crederlo vero. No, un momento. Poteva crederlo. Era House. “Farò la spia alla Cuddy.” Allargò le braccia come per sancire la sua decisione. House sbucò dall’armadio. “Fallo. E le dirò che è qui dentro che nascondi le infermierine innocenti.” Wilson si alzò dalla sedia. “House.” “Wilson.” “Mitchell.” Mi intromisi. “Ci siamo tutti. Mi fai uscire?” chiesi infine rivolta a Greg. In quel momento sentimmo sbattere la porta dell’ufficio. “Davvero pensavate di sfuggirmi?” sgranò gli occhi quando si accorse che dentro il mini-armadio, c’ero anch’io. Poi con altezzosità, squadrò House. “Voglio quegli esami.” Lui mi guardò come per cercare appoggio. “E le visite in ambulatorio, mi vedo costretta a rifilarle ad entrambi.” Cosa? Non potevo più stare zitta. “Gli esami li hai chiesti ad House! Lui li ha chiesti a me! Lo sai anche tu, quanto ho da fare.” Dovevo precisare tutta la faccenda, prima di ritrovarmi con un carico assurdo di lavoro in più. House abbassò lo sguardo nuovamente su di me. “Sai come usa il suo divano Mitchell?” iniziò rivolta alla direttrice. Lo fulminai. La Cuddy tirò fuori due file di moduli impilati. Sorrise, nascondendo il nervosismo. “Queste sono le cartelle. Andate entrambi in ambulatorio, prima che vi ci mandi io, a calci.” E si richiuse la porta alle spalle.

    “Ops!” fece una smorfia. Sospirai guardando le cartelle, “Non finiremo mai.” “Vuoi dire che tu non finirai mai.” Lo fissai con occhi semichiusi. Non avrebbe osato. Senza degnarmi di un minimo d’attenzione, lo sentii uscire dalla porta, come poco prima aveva fatto la Cuddy. Sgranai gli occhi. Aveva osato! Aprii la porta dell’ufficio di Wilson, “Puoi totalmente togliertelo dalla testa!” urlai, e in tutto il corridoio, rimbombò l’eco della mia voce isterica. “Non toccherò mai i moduli dei TUOI pazienti. Te li curi da solo!” prima che le porte del suo ascensore si chiudessero, mi guardò con sguardo divertito. “Sapete Lauren Mitchell, come usa il suo divano dell’ufficio con il sottoscritto?” lo aveva urlato. Chiusi gli occhi, per attendere l’infamia. Li riaprii. L’ascensore si era chiuso. Almeno quella mi era andata bene.

    Mi stavano tutti osservando. Sorrisi al cielo, ed entrai nuovamente nell’ufficio di Wilson. Me lo vidi seduto nuovamente sulla sua sedia. Chiusi gli occhi e non li riaprii “No, non dire niente.” Sbuffai. Riaprii gli occhi e lo vidi gesticolare. Alzò le mani innocentemente. E io abbassai lo sguardo sorridendo. “Grazie.” Sussurrai. E lentamente uscii, lasciandolo al suo lavoro.


    Passaggio
    Erano le otto e mezza passate. Addio cenetta. Addio film davanti alla tv. Addio alla mia serata. Sbuffai più volte. Almeno avevo finito. Dannazione ad House. Dannazione a me che lo avevo lasciato fare. Sistemai lo stetoscopio, e fui pronta per uscire dall’ambulatorio. Andai in velocità a sistemare il mio camice sull’attaccapanni del mio ufficio. Come sempre mi guardai l’abito. Era una mia fissazione, ma volevo esser certa di non essermi sporcata, con sangue, urina e ben altro. I jeans erano perfetti, e così mi incamminai verso l’uscita. Mentre aspettavo l’ascensore, come mio solito iniziai a pensare un bel piano per vendicarmi di House. Sarebbe stato arduo. Quante volte ci avevo provato, e quante altre lui era riuscito a farmela sotto il naso. Mi fermai nell’ufficio della Cuddy. Non c’era nessuno. O meglio lei sicuramente era ancora in ospedale, ma trovai la via libera. Entrai, e notai che il cassetto riservato ad house, faticava a chiudersi. Strano, pensai sorridendo. Mi sarebbe bastato anche solo prendere la metà di quelle cartelle. Appena le ebbi in pugno, mi defilai.

    Ufficio di Foreman. Ufficio di Foreman. Ma siamo sicuri che ce l’avesse poi un suo ufficio? Io in effetti non c’ero mai stata, però era l’unica mia possibilità. Avrei sistemato le cartelle di House sulla sua scrivania. Eric non era il tipo di accettare il lavoro di un altro. Cuddy o no, House avrebbe dovuto finalmente sbrigarsela da solo. Sì, mi sentivo potente, anche se era chiaro che stavo facendo una cazzata. Poco male, l’avrei fatto comunque. Ho girato tutti i piani, qualcosa mi diceva che alla fine Foreman non aveva ottenuto una stanza tutta per sé. Cambiai obiettivo. Alla ricerca dell’armadietto di Foreman. Perfetto, quelli sapevo dove erano stati messi. Entrai piano piano, indisturbata. Fu facile trovarlo, un po’ meno aprirlo. Mi ritrovai a dover infilare le cartelle cliniche, attraverso le fessure. Squallido. Non guardatemi male! Alla fine sarà divertente! Almeno spero.

    Mi sentivo come un assassino. Dovevo esser più disinvolta. Raggiunsi il parcheggio sotterraneo convinta di trovarvi la mia auto. Sgranai gli occhi. Non c’era più. Non ero ancora entrata nel panico, che sentii una moto sgommare alla prima curva. “Vuoi un passaggio?” Era House. Si tolse il casco. Lo guardai stravolta, e gli parlai con un filo di voce. Ero ancora incredula. “Mi hanno fregato l’auto.” “Per questo ti ho fatto la prima domanda.” Non ci stavo capendo più niente. Non aggiunsi null’altro. Stavo ancora fissando il parcheggio vuoto. A quel punto House, sistemò la sua moto sul cavalletto. “Pensavo che Wilson ti avesse avvisato.” Lo guardai nuovamente in volto. Era l’ora delle spiegazioni. Parlò senza fissarmi. “So che tieni la copia delle chiavi dell’auto sul comò in camera tua.” Sgranai gli occhi. Era entrato in casa mia?! Ancora peggio, nella mia stanza! “Le ho prese in prestito.” Spiegò con una smorfia. “Wilson ti ha portato via l’auto. Era tutto organizzato. Insomma, dovevo pur trovare un motivo valido per chiederti un passaggio.” Lo fissai dritto negli occhi. “Era per ringraziarti. Sai non è nel mio stile, ma ammetto che le mie cartelle erano veramente tante …” Non potei che sorridergli. Allora era per quello? Assurdo. House era assurdo. Ma unico. Dissi gentilmente “Bastava che me lo chiedessi. Avrei accettato.” Confermai. Certo la storia dell’auto poteva evitarsela. Sospirai lasciando perdere. “Ma se te lo avessi chiesto, non avrei potuto entrare in camera tua.” Mi fece l’occhiolino. Socchiusi gli occhi, accennando un sì, con la testa. “Mi sembra logico.” “Allora lo vuoi il passaggio?” “Assolutamente.” Mi lanciò un secondo casco. Fui ben presto pronta, e salii in sella. Sotto il rombo della sua splendida MV Augusta, pensai fra me, che l’indomani avrei dovuto dare una spiegazione a Foreman. No, non sono troppo buona. Stavolta Greg ha saputo come ricambiare.

    Lo strinsi forte. Sentii la sua mano assicurarsi che fossi ben legata a lui. E svoltammo alla prima curva.
     
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  2. silencæ
     
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    LEGGETELE! Vi obbligo.
     
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  3. vodka lemon;
     
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    *-* Meravigliosa. ♥
     
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  4. :lilith
     
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    io me le ricordo ♥
     
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3 replies since 14/10/2011, 23:18   49 views
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